UN MONDO A SÈ

UN MONDO A SÈ


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Sesto Fiorentino (FI), 13 giugno 2023

Seconda Casa di Reclusione di Milano-Bollate, un mondo a sé, a tratti invisibile anche se non troppo rispetto ad altri mondi invisibili; se non altro una realtà che vive e respira, uno spazio chiuso, ma al suo interno aperto che ha creato alcuni canali con l’esterno.
“Oltre la barriera” è uno di quei canali che ha fatto breccia nella fortezza, grazie alla presenza di alcuni cavalieri, che hanno permesso la costruzione di un ponte oltre il fossato, oltre il muro dell’indifferenza, oltre “Ma tanto chi ha sbagliato è giusto che paghi”.
Queste sono giornate che portano una maggiore conoscenza, una consapevolezza: giocare insieme ci permette di essere più vicini.
Due tornei: uno grande nell’enorme campo da calcio accanto alle sezioni maschili, e uno più piccolo nel campo da pallavolo accanto al femminile.
Sì, perché in questo mondo esiste anche una sezione femminile, e se il carcere è un mondo nascosto, il reparto femminile è ancora più oscuro, un buco nel buco. Le donne sono meno, sono nella sezione più lontana e soprattutto “combinano casini”, “vi accompagno, ma non voglio averci niente a che fare”… ma perché?
È una domanda che è rimasta aperta, e a cui non so dare risposta, mi chiedo se c’è un aspetto legato alla sensibilità, all’emotività e di conseguenza all’istintività che porta ad agire in un modo piuttosto che in un altro. Mi chiedo quale storia di vita ci sia dietro questi volti, quali esperienze che hanno segnato, quali incontri. Mi piomba addosso il senso di gratitudine anche solo per essere nata in una certa famiglia che mi ha fatto sentire amata. Perché poi al di là di tutto, credo che di assenza di amore si parli: nei volti, nello sguardo mancato, a tratti competitivo o territoriale, si percepisce la ricerca e un bisogno viscerale di amore.
Appena ci siamo avvicinate al reparto femminile, dalle grate di una cella scorgo la figura di una donna che declama “chi sono queste? Tanto ora scendo io a giocare!” E da lì penso che il contatto comunque non sia facile e che vada cercato in punta di piedi, siamo a casa loro, siamo visitatori, siamo estranei che passano solo una giornata in carcere e che quindi non hanno niente a che fare con questo mondo. Entriamo in campo e tutti stanno già giocando a pallavolo, è la prima volta che nel femminile viene organizzata una giornata di questo tipo, sempre perché è complesso organizzare attività “col femminile”. Ci sono anche alcuni detenuti del maschile, il torneo è misto, il che rende tutto più interessante e allo stesso tempo più complesso per le guardie e chi deve controllare.
Così prendiamo parola, spieghiamo brevemente l’idea della giornata e le regole del torneo, ma non c’è tempo per chiacchierare molto, bisogna lasciare la parola al gioco, tutti fremono per iniziare. La partita è un riscatto, una pausa dalla realtà, un momento per non pensare alla pesantezza del presente. Si inizia a giocare, è un quadrangolare, due squadre maschili, una femminile e una squadra di esterni. E lì avviene la magia, si gioca insieme nello stesso campo, con la stessa palla, il passato non conta, c’è un momento di costruzione dell’azione, anche se molti giocano per sé, faticano a passare la palla, bisogna salvarsi da soli; ma è la squadra a vincere o perdere, in qualche modo da soli non si può giocare o meglio non si può vincere.
Vorrei salutare una ragazza un po’ sulle sue e che non mi guarda nemmeno negli occhi, poi mi accorgo che ha una bottiglia d’acqua con sé e le chiedo gentilmente da bere, lei mi sorride e mi dice “Certo, certo” così riesco a darle la mano e le dico “piacere” e sono contenta. Qualcuno ringrazia, qualcuno sorride, ma poi improvvisamente torna serio. Qualcuno è molto freddo, “io non posso capire”.
Alla fine facciamo una foto, immortaliamo il momento. Qualcuno è veramente contento e ci chiede di tornare tutte le domeniche.
Il saluto è veramente strano, noi torniamo a casa, loro tornano in cella, per noi è una parentesi per loro la vita quotidiana. Spero che un piccolo mattoncino sia stato messo, se non altro un ricordo, e la possibilità concreta di poter tornare a giocare insieme, di poter “vincere” insieme una partita più importante.

Lucia Agostino

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