Fuori da me
Firenze, 21 giugno 2024
Quando racconto ad amici e colleghi che sono stato una giornata al carcere di Bollate, la domanda più frequente è “Perchè?” (oltre ovviamente alla classica battuta: “E non ti hanno tenuto dentro?!”)
Già, che motivo c’è di andare a trovare qualcuno che sta dietro le sbarre?
Una risposta sarebbe da chiedere a quella sessantina di persone, tra cui tanti ragazzi e ragazze, che hanno deciso di accettare l’invito di RERUM a giocare un quadrangolare di calcio e uno di pallavolo in un luogo dove non è da tutti entrare, ma soprattutto da dove è molto esclusivo uscire.
Detta così la proposta sembra allettante ma ecco le condizioni:
- accollarsi tre ore e mezza abbondanti di autobus,
- passare il pomeriggio di un 13 Giugno sotto il sole cocente milanese, chiusi fra quattro mura di cemento (e diversi cancelli),
- rifare il viaggio a ritroso verso Firenze (sempre sperando nell’assenza di intoppi autostradali),
- il tutto condito con l’abbandono assoluto all’ingresso dell’amico inseparabile, lo smartphone, per sostituirlo con la compagnia incerta di qualche centinaio di carcerati che sono lì dentro per i più disparati reati e che, a giudicare da quello che si dice in giro, pare non debbano essere proprio tutti degli stinchi di santo.
Eppure questi personaggi sul pullman sono saliti lo stesso, hanno affrontato le temperature padane e le insidie dell’A1 e si sono presentati di fronte ai portoni blindati “armati” di palloni, tamburi, trombe, sbandieratori e sorrisi, per questo appuntamento di “Oltre La Barriera: Una Partita da Vincere!” che, arrivato alla sua VIII edizione, sta assumendo sempre più i contorni di un torneo che non ha nulla da invidiare alle grandi manifestazioni olimpiche, almeno nei cuori dei suoi partecipanti.
Non mi soffermerò a raccontare le gesta sportive della giornata – ci sono persone tecnicamente ben più preparate di me che potranno entrare nel merito – ma vi darò le mie personalissime risposte alle domande iniziali.
Premetto che non era la prima volta che mettevo piede a Bollate, ma come sempre ho avuto la sensazione di una partita che si svolgeva anche dentro di me.
Da un lato la squadra delle emozioni, con grandi fuori classe del tipo: “Siamo qui per dare una mano” “per fare del bene” “Per portare un po’ di spensieratezza in questi luoghi tristi”.
Dall’altro lato del campo trovo pensieri di non meno esperienza tra cui giocatori del calibro di: “Se hanno sbagliato è giusto che paghino e stiano qui” o anche “Non soffriranno mai come le persone a cui hanno fatto del male“.
E’ una partita non meno agguerrita di quelle che si giocano sul campo, con azioni, falli e perfino autogoal.
La differenza sostanziale però è che in queste partite possono entrare infiniti giocatori, che possono far pendere il gioco in favore di una o dell’altra parte.
Anche stavolta, l’ago della bilancia l’hanno fatto “gli altri”. Quelli dentro, gli ospiti della casa circondariale, chiamateli come preferite. Loro. Sono uomini e donne che ogni volta spostano gli equilibri della “mia partita”. E la ribaltano.
Non hai uno smartphone in cui “rifugiarti”, telefonate da fare o ricevere, social da controllare.
Quando sei lì e hai accanto “Loro”, hai solo due scelte: o stai zitto, o ci parli. In entrambi i casi comunichi.
Ed è li che si ha il ribaltone nella mia partita: “Visi“, “Parole“, “Vite” sono i tre nuovi giocatori che scendono in campo e che, a dirla tutta, sono così forti da stravolgere anche le regole del gioco.
Gli altri giocatori sono confusi, gli spalti sono in delirio, l’arbitro non sa che pesci prendere.
Meglio ripartire da zero e ricominciare, stavolta però con nuove regole.
E nuovi giocatori che, si vede subito, sono più freschi, più convinti, più motivati.
Tra i vari spiccano:
“Il bene è bene. E il bene bisogna farlo.”,
“L’Amicizia è gratuità ”
“Se Amate coloro che vi amano, che merito ne avrete?”
Sono più tranquillo, torno alle partite, quelle dentro al carcere, ma fuori da me.
Ormai sono finite, ci sono le premiazioni.
Grandi onori con gli sbandieratori che non perdono l’occasione di stupirci e rendere tutto più solenne con saluti istituzionali, premiazioni, e sulla colonna sonora della Champions e i festeggiamenti vedo anche qualche occhio lucido (entra nel “mio campo”: “Sono umani anche loro”). C’è un primo, un secondo, un terzo e un quarto. Ma abbiamo vinto tutti.
Giovanni Maffoni