Un pomeriggio oltre la barriera: un frammento di libertà

Un pomeriggio oltre la barriera: un frammento di libertà


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Firenze, 28 Maggio 2025

Mercoledì 28 maggio, un gruppo di ragazzi provenienti da diverse zone di Firenze e provincia, ma non solo, si è immerso in un’iniziativa speciale, promossa dall’associazione RERUM dal titolo “Oltre la Barriera. Una partita da vincere!”, all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Firenze. Tra loro c’ero anch’io.

Abbiamo vissuto una giornata intensa, fatta di sguardi che si incrociavano e risate che rompevano il silenzio. Ci siamo uniti ai ragazzi dell’Istituto non come ospiti, ma come compagni di squadra, in un campo dove il giudizio era rimasto fuori dai cancelli.

Lì, il pallone è diventato in pochi istanti molto più di un semplice oggetto: era voce, era sfogo, era ponte tra mondi apparentemente distanti.

In un solo pomeriggio abbiamo visto nascere un entusiasmo contagioso, una competizione sana, genuina. Abbiamo scoperto quanto sia prezioso “esserci”: essere presenza, essere ascolto, essere fiducia per chi spesso si sente dimenticato.

Un gol diventava una medicina, una scintilla di felicità pura. Gesti semplici, azioni spontanee che si sono scolpite nella memoria. Perché quella giornata non è stata solo una partita: è stata un frammento di libertà ritrovata, una lezione silenziosa ma potente su ciò che ci rende veramente umani.

Gabriele Ravara

La giornata trascorsa al carcere minorile di Firenze è stata un’esperienza che porterò dentro a lungo. È stato un vero arricchimento personale, più di quanto mi aspettassi. Parlare con i ragazzi, ascoltare le loro storie, giocare insieme ha fatto cadere tante barriere e pregiudizi. Mi ha colpito la loro voglia di mettersi in gioco, la sincerità con cui si sono aperti e la naturalezza con cui ci siamo trovati a condividere momenti semplici ma profondi. Attraverso quelle conversazioni ho capito quanto sia importante dare valore all’ascolto, all’empatia e alla possibilità di ricominciare. È stato un giorno in cui ho ricevuto molto più di quello che ho dato, un’esperienza di umanità vera che mi ha fatto riflettere e crescere.

Sono grato di aver avuto l’occasione di vivere tutto questo insieme a loro e spero davvero che in futuro mi si riproponga lungo il cammino.

Pietro Bencini

Oltre la barriera. Una partita da vincere!” è un progetto sportivo, educativo e d’inclusione sociale promosso da Rerum (Rete Europea Risorse Umane) con il sostegno della Fondazione Migrantes. E’ ormai giunto alla nona edizione, alla quale io ho partecipato.

L’incontro, il 28 maggio scorso, è avvenuto presso l’Istituto Penitenziario Minorile Meucci di Firenze, all’interno del quale sono detenuti una ventina di ragazzi con età massima di 25 anni. Durante questo incontro viene disputato un torneo di calcetto tra i ragazzi detenuti e i volontari amici dell’associazione.

Il premio più importante del torneo è stato il trofeo “fair play” attribuito alla squadra che ha ricevuto più cartellini verdi assegnati a un giocatore, o a tutta la sua squadra, dopo aver fatto un gesto di fair play (rispetto per l’avversario/onestà).

A questa attività, svolta sotto la supervisione dei volontari educatori e delle guardie penitenziarie, vi ho partecipato in seguito alla proposta del mio professore di religione e devo dire che mi è stata molto utile in quanto mi ha messo di fronte ad una realtà della quale avevo spesso sentito parlare solo tramite serie tv, film, telegiornali, ma con la quale non ero mai entrato in contatto diretto.

Ad essere sincero, appena arrivato, ho avuto un attimo di smarrimento in quanto l’ambiente è abbastanza straniante per chi non lo ha mai visto in vita sua. Dopo un attimo di esitazione ho però instaurato una sorta di rapporto con i ragazzi che giocavano insieme a me i quali mi hanno raccontato le loro esperienze e le loro difficoltà.

Ho scoperto così che alcuni di loro sono soli al mondo, con nessuno che li venga a trovare all’interno dell’istituto che però vogliono, attraverso anche questa permanenza in carcere, cogliere, non senza varie difficoltà, un’occasione di riscatto sociale, studiare, imparare un mestiere per avere una possibilità di farcela una volta terminata la pena da scontare.

Partecipare a questa attività mi ha cambiato profondamente; credo che il volontariato, soprattutto in contesti difficili come quello carcerario sia un’attività importantissima che tutti dovrebbero fare almeno una volta nella loro vita. Nel dare agli altri, infatti, si riceve molto di più di quanto ci si aspetta. Mi ha inoltre fatto capire che le cose che a volte diamo per scontato come la libertà, sia fisica che di effettuare le scelte di vita che più ci piacciono come potere studiare, andare in vacanza, praticare sport, non sono poi così scontate e quanto sia importante poter avere l’appoggio di una famiglia.

Niccolò Affortunati

Durante il viaggio in treno per arrivare all’Istituto Penitenziario Minorile io e i miei amici eravamo leggermente tesi per quello che ci attendeva all’interno, ma comunque curiosi.

Appena entrati ci siamo cambiati e poco dopo sono entrati i ragazzi del carcere che fin da subito, con il riscaldamento, si sono mostrati tranquilli e con intenzione di giocare soltanto a calcio. Il momento più interessante per quanto mi riguarda non è stato tanto il torneo, ma piuttosto l’aspettare che la tua squadra giocasse.

Durante quei minuti siamo riusciti a parlare con dei ragazzi più o meno della nostra età che ci hanno raccontato come è la vita dentro un istituto penitenziario e di come stavano all’interno. Uno di loro ci ha raccontato di come avesse preso da poco la patente di guida e una licenza da barman.

Il posto non era assolutamente come me lo immaginavo infatti all’interno erano presenti corsi per reintegrare i ragazzi una volta usciti. Anche le guardie non erano le classiche guardie stereotipate dei film americani ma erano comprensive e parlavano anche con i ragazzi.

Il torneo, grazie anche al cartellino verde del fairplay, ha reso tutto molto rispettoso verso gli avversari senza commettere nessun fallo. A fine torneo abbiamo aspettato insieme a tutti i ragazzi che venissero richiamati camera per camera e mi ha colpito uno di loro che ci ha ringraziato di essere venuti in quel posto invece che rimanere a casa nostra. Ho trovato questa esperienza un modo diverso di vedere un luogo a molti sconosciuto e che incute timore.

Alessandro Sgaravizzi

Segue servizio fotografico con foto “trattate” per motivi di privacy, a cura di Fabio Salustri

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